Le quattro case

“La mia casa, la casa dove non sono nato, e che gli antenati avevano costruito cinque secoli fa, era al centro del paese e faceva angolo con una strada che collegava le contrade a nord con la piazza… La casa non era grande perché tra le prime in muratura costruite dopo quelle in tronchi, bruciate ne 1447 dai soldati di Sigismondo d’Austria. Le stanze erano basse, con il soffitto in legno, tranne al piano terreno che era in pietre e volta. Sopra i tre piani il tetto era molto ripido, coperto di scandole e senza camini” (…)

“Ricostruirono anche la casa più grande e moderna che nel 1910 il nonno volle a meno di cento metri dalla vecchia, ed è qui che sono nato. Una casa di mezzo tra l’antico e il nuovo. C’erano sì i secchi di rame ma anche l’acquaio con il rubinetto, sì i bronzi e le olle per il focolare ma anche le pentole per la cucina economica raccolte in una credenza di noce” (…)

“La mia terza casa fu un rifugio dell’inconscio e fisicamente non l’ho mai abitata. Dopo anni di guerra mi ero ritrovato in un grande Lager, in un angolo molto triste della Prussia Orientale (…) Su un foglio di carta chissà come trovato, con meticolosità e pazienza disegnai la casa che mi sarei costruita al ritorno” (…)

“Oggi, dopo anni di lavoro, una casa me la sono disegnata e costruita; ed è semplice come un’arnia per api” (…)

da “Amore di confine”, “Le mie quattro case”

 

IL CONTESTO

Nel racconto lo scrittore elenca le case più importanti della sua vita, omettendone alcune altre, come ad esempio quelle in piazza Carli o in val d’Orco. Descrivendole con dovizia di particolari Rigoni Stern ci fa conoscere nel dettaglio com’era la vita di una famiglia della media borghesia ad Asiago rispettivamente nell’800 e nella prima metà del ‘900, e rievoca la sua vita di bambino che nella perlustrazione di un sottotetto o di una cantina trovava gli elementi (dalle selle di cavallo a un fucile o un pezzo di aliante) per dare sfogo alla sua fantasia nei giochi.

 

I LUOGHI

Le prime due abitazioni descritte nel racconto sono in centro ad Asiago: quella dei nonni, casa e bottega, presidiava il cosiddetto Kantàun vun Stern, l’Angolo degli Stern, dove via Dante sbuca in piazza II Risorgimento. Nella casa vicina con le finestre ad arco (costruita in parte dallo zio “Barba” del racconto “Vecchia America”) lo scrittore abitò con la famiglia dal ’49 al ’56, e qui videro la luce Il Sergente e i primi racconti.

La seconda casa, ora sostituita da un condominio, era ubicata in via Ortigara, nell’angolo di piazza della Pesa. A questa strada fa riferimento anche il finale di “Che magro che sei fratello”, l’intenso racconto del suo ritorno a casa dopo la guerra e la prigionia (in “Sentieri sotto la neve”): sceso da un camioncino di partigiani che l’aveva fermato all’Albergo Croce Bianca, lungo il corso, copre faticosamente le poche decine di metri che lo separano dalla sua casa, ritrovando i cortili, gli orti, gli alberi, le porte. “Era la più lunga di tutte le strade – scrive – la più difficile da ritrovare, la più bella strada della terra, di tutte le strade che aveva camminato”.

La sua ultima casa, quella dov’è morto il 16 giugno del 2008, è ubicata invece in Val Giardini, e lo scrittore se l’è costruita da solo, con l’aiuto dei figli e solo in un secondo tempo di alcuni muratori.

 

Da “I luoghi di Mario Rigoni Stern”, di Sergio Frigo, ed. Mazzanti